Lettera ad un giovane in cerca di Dio, di se stesso, del proprio ruolo nel mondo.
In collaborazione con il Centro Diocesano Vocazioni, pubblichiamo uno spunto di riflessione per giovani che riflettono sulla propria vita.
Caro/a amico/a,
il mio rivolgermi a te attraverso una lettera non può contare sul riferimento a un volto preciso, o, meglio, può piuttosto fare affidamento su tanti volti concreti e diversi. Quelli dei giovani che incontro, che ho già incontrato, che sono miei alunni a scuola o parrocchiani nella mia missione pastorale.
Ma posso anche, senza troppa fatica, rifarmi alle mie sensazioni quando io stesso appartenevo alla categoria “giovani”, le cui aspirazioni cambiano, sì, con le generazioni, ma non del tutto.
Probabilmente, in questi tempi ti stai chiedendo, anche se in maniera non del tutto esplicita, alcune cose sulla tua vita: se la direzione è quella giusta, se la velocità di navigazione è quella corretta, se le inevitabili battute di arresto sono fisiologiche o devono costituire motivo di preoccupazione, se esiste un modo per avere maggiori certezze e un po’ meno dubbi.
Innanzitutto, se me lo consenti, vorrei darti una buona notizia: se, queste domande, te le stai ponendo, è segno che la strada è già quella buona: la strada di una persona che cerca, che desidera la verità, che non si accontenta della mediocrità. Se, invece, queste cose non ti sono passate per la mente, i casi sono due: o hai già imboccato una via sicura, oppure, se mi consenti la schiettezza, non hai ancora raggiunto il grado di maturità sufficiente per affrontare davvero la vita.
Parleremo in futuro anche del secondo caso, ma, per ora, concentriamoci sul primo.
Magari, hai percepito che la vita è grande, bella e importante e che una delle cose più sensate che una persona possa fare è non sprecarla. Il che non vuol dire necessariamente diventare il padrone del mondo, passare alla storia o dimostrare una superiorità, ma, più semplicemente, mettere a frutto le proprie doti, non sedersi sugli allori, fare del bene a qualcuno, lasciare il mondo un po’ migliore, dare un contributo personale al miglioramento del consorzio umano.
Se queste considerazioni non sono troppo lontane da ciò che attraversa i tuoi pensieri, ma le perplessità a volte rischiano di far naufragare il progetto, c’è un’altra buona notizia: non sei solo in questo compito grandioso ma arduo di valorizzare la tua vita.
Buona notizia, dicevo, ma, ad essere onesti, non è nemmeno del tutto scontato. Dipende da come una persona la pensa. Ci sono persone (o, magari, singole fasi all’interno della vita) che preferiscono fare tutto da sole. Accollandosi gli oneri e le fatiche, ma riservandosi però l’esclusiva assoluta sui successi ed i traguardi ottenuti. E’ una strada percorribile, certo. Di solito, si tratta di un’idea che si affaccia alla mente intorno ai vent’anni e che è alimentata da molte cause: fattori interiori (la voglia di affermarsi, di dimostrare quanto si vale, di elevare la propria condizione) ma anche esterni (modelli da emulare, standard da non deludere, persone a cui si vuole dimostrare qualcosa). E’ una strada rispettabilissima, ma che ha un grande difetto che non va assolutamente trascurato: funziona, finchè ci sono le energie, le risorse, le condizioni favorevoli. Dopo, lascia a piedi.
E’ un po’ come acquistare un’auto, con il serbatoio più capiente possibile, avendo in testa un pensiero che più o meno dice: ora, senza mai dovermi fermare alla pompa di benzina (o dal meccanico, o all’autolavaggio) voglio vedere quanta strada riesco a fare. Senza aiuti, a cofano sigillato, come si suol dire.
Se i preparativi sono efficaci, se la messa a punto è accurata (e, soprattutto, se si ha molta fortuna) sarà possibile macinare molti chilometri. Al termine dei quali, però (sempre ammesso e non concesso che tutto vada per il verso giusto) si rimane comunque fermi: a secco, in panne, senza energie. Salvo, poi, domandarsi: era così giusta la premessa iniziale, cioè il voler fare tutto da soli?
Ecco, allora, che si apre l’opportunità per considerare un’altra strategia: accettare un compagno di viaggio, un navigatore, un consigliere…..insomma: lasciarsi aiutare.
Ma se questo “consigliere” avanzasse delle pretese indebite? Se pretendesse di decidere lui la destinazione? Se mi cambiasse i piani? Se mi portasse dove non voglio andare? O, peggio ancora, anche ammesso che mi conduca a destinazione, cosa succederebbe al mio amor proprio se poi questo compagno di viaggio volesse prendersi una parte (o addirittura tutto) del merito?
Non sono interrogativi banali e, se colui sul quale si addensano i dubbi fosse un personaggio qualunque, sarebbero più che fondati. Ma, come probabilmente ti sarà già chiaro, qui stiamo parlando di Dio. Ma non di un Dio qualsiasi. Un Dio che è venuto sulla terra e che, a sua volta, ha obbedito ai genitori, ha accettato consigli e, quando ha cominciato a darne, ha innanzitutto dimostrato con i fatti (e la vita) che praticava quel che predicava.
Un Dio invadente? Certo, un’idea chiara su ciò che potrebbe farci bene, Lui senz’altro ce l’ha. Vuole imporla? No, si limita a suggerirla. Dispensa perle di saggezza dall’alto? No, si mette al nostro fianco e gioisce, fatica, lavora e si “sporca le mani”, proprio come noi. Ma con una differenza. Che è del tutto disinteressato, non vuole guadagnare nulla da noi, ha tutto da dare e nulla chiede, se non un impegno concreto in direzione dell’amore e in vista della felicità.
Dove vuole arrivare tutto questo discorso infarcito di metafore automobilistiche, strade, destinazioni e navigatori? Al fatto che nessuno si è mai dovuto pentire per aver accettato a bordo il Signore. Certo, potrà capitare che la Sua volontà non coincida sempre con la nostra. Ma possiamo star certi che, in quel caso, la divergenza di vedute sarà sempre dettata dal fatto che Lui ha una visione più chiara del tragitto ed un desiderio sincero di farci percorrere quello migliore. Quello che ci porta a star bene, anche se può essere in salita.
Caro /a giovane, in definitiva, anche se, a differenza del Navigatore per eccellenza, io non ho le credenziali per farlo, accetta ugualmente un suggerimento anche da me, almeno per il fatto di averlo provato personalmente: accetta di farti aiutare dal Signore. La preghiera è il primo, irrinunciabile, passo. Il ricorso a figure sagge e illuminate, il secondo. La sincerità per intraprendere i passi che Dio ti suggerirà di volta in volta, quello successivo. E, se mi consenti, non aver fretta di sapere già all’inizio tutto quel che ti aspetta. Sarà comunque per la tua crescita, per il tuo bene.
Farsi aiutare non è da deboli. Farsi guidare non è per gli sprovveduti. E’ per chi ha a cuore la vita a tal punto da aver compreso che c’è Qualcuno che la può far fruttare al meglio. Accettare Dio come compagno di viaggio è da persone sagge, da persone intelligenti. E’ per questo, caro / a amico / a, che mi sono permesso di rivolgermi a te.
Con stima.
Don Davide
Mail: d.schiavon@libero.it; cell. 3339234456