Domenico Comparetti, “Il fiorentino”, tradotta da Italo Calvino
Certe volte la curiosità può giocare brutti scherzi e porta anche a dei rischi, come insegna argutamente questa fiaba. “E’ la storia di Ulisse e Polifemo, tradotta in novella paesana toscana, col fattore e il curato, con la satira municipale, col Fiorentino che ci soffre a non poter fare il fanfarone e la piccola morale prudenziale del non muoversi da casa. Il finale con l’anello e il dito tagliato c’è anche in racconti abruzzesi ispirati a Polifemo, che seguono con una certa fedeltà il mito omerico” (I. Calvino)
C’era una volta un Fiorentino che tutte le sere andava a conversazione e sentiva ragionare la gente che aveva viaggiato e visto il mondo. Lui non aveva nulla da raccontare perché era sempre rimasto a Firenze e gli pareva di far la parte del citrullo.
Cosí gli venne voglia di viaggiare; non ebbe pace finché non ebbe venduto tutto, fatto i bagagli e fu partito. Cammina cammina, a buio chiese alloggio per la notte in casa d’un curato. Il curato lo invitò a cena e mangiando gli chiedeva il perché del suo viaggio. E sentito che il Fiorentino viaggiava per poter poi tornare a Firenze e aver qualcosa da raccontare disse: – Anche a me m’è venuto piú volte questo desiderio: quasi quasi, se non vi dispiace, possiamo andare insieme.
-Si figuri, – disse il Fiorentino. – Non mi par vero di trovare compagnia.
E la mattina partirono assieme, il Fiorentino e il curato.
A buio arrivarono a una fattoria. Chiesero alloggio e il fattore chiese: – E perché siete in viaggio? – Quando l’ebbe saputo gli venne voglia di viaggiare anche a lui, e all’alba partí con loro.
I tre fecero molta strada insieme, finché arrivarono al palazzo d’un Gigante. – Bussiamo, – disse il Fiorentino, – cosí quando torniamo a casa avremo da raccontare di un Gigante.
Il Gigante venne ad aprire in persona e li ospitò. – Se volete restare con me, – disse poi, – qui alla Cura mi manca un curato, alla fattoria mi manca un fattore, e per il Fiorentino, sebbene di fiorentini non ne abbia bisogno, si troverà un posto anche per lui.
I tre si dissero: – Be’, a stare al servizio di un Gigante si vedranno certo cose fuori dell’ordinario; chissà quante potremo raccontarne poi! – e accettarono. Li portò a dormire e rimasero intesi che l’indomani avrebbero combinato tutto.
L’indomani il Gigante disse al curato: – Venga con me che le faccio vedere le carte della Cura, – e lo condusse in una stanza. Il Fiorentino, che era un gran curioso, e non voleva perdere l’occasione di vedere cose interessanti, mise l’occhio al buco della chiave e vide che mentre il curato si chinava a guardare le carte, il Gigante alza una sciabola gli taglia la testa, e lo butta testa e corpo in una botola.
” Questa si che sarà da raccontare a Firenze! – pensò il Fiorentíno. – Il guaio sarà che non mi crederanno “.
-Il curato l’ho messo al suo posto, – disse il Gigante, ora sistemerò il fattore; venga che le mostro le carte della fattoria.
E il fattore, senza sospettare niente, seguí il Gigante in quella stanza.
Il Fiorentino dal buco della chiave lo vede chinarsi sulle carte e poi la sciabola del Gigante piombargli tra capo e collo, e poi lui decapitato finire nella botola.
Già si stava rallegrando di quante cose straordinarie poteva raccontare al suo ritorno, quando gli venne in mente che dopo il curato e il fattore sarebbe toccato a lui, e che quindi non avrebbe potuto raccontare proprio niente. E gli venne una gran voglia di scappare, ma il Gigante usci dalla stanza e gli disse che prima di sistemare lui voleva andare a pranzo. Si sedettero a tavola, e il Fiorentino non riusciva a ingollare nemmeno un boccone, e studiava un suo piano per sfuggire dalle mani del Gigante.
Il Gigante aveva un occhio che guardava male. Finito il pranzo il Fiorentino principiò a dire: – Peccato! Lei è tanto bello, ma codest’occhio…
Il Gigante a sentirsi osservato in quell’occhio, stava a disagio, e cominciò ad agitarsi sulla sedia, a batter le palpebre e ad aggrottare le sopracciglia.
-Sa? – disse il Fiorentino, – io conosco un’erba, che per i mali degli occhi è un toccasana; mi pare anzi d’averla vista qui nel prato del suo giardino.
-Ah, sí? Ah, si? – fece subito il Gigante. – C’è qui nel prato? E andiamo a cercarla, allora.
E lo condusse nel prato, e il Fiorentino uscendo guardava bene porte e serrature per aver chiara in testa la via per scappare. Nel prato colse un’erba qualunque: tornarono in casa e la mise a bollire in una pentola d’olio.
-L’avverto che farà molto male, – disse al Gigante. – Lei è capace a resistere al dolore senza muoversi?
– Be’, certo… certo che resisto… – fece il Gigante.
-Senta: sarà meglio che per tenerla ferma la leghi a questa tavola di marmo; se no lei si muove e l’operazione non riesce.
Il Gigante che a farsi aggiustare quell’occhio ci teneva molto si lasciò legare alla tavola di marmo. Quando fu legato come un salame, il Fiorentino gli rovesciò la pentola d’olio bollente negli occhi accecandoglieli tutti e due: e poi, via, giú per le scale, pensando: ” Anche questa la racconto! “
Il Gigante con un urlo che fece tremare la casa s’alzò e con la tavola di marmo legata sulle spalle si mise a corrergli dietro a tentoni. Ma comprendendo che accecato come era non l’avrebbe mai raggiunto ricorse a un’astuzia: – Fiorentino! – gridò! – Fiorentino! Perché m’hai lasciato? Non mi finisci la cura? Quanto vuoi per finire di guarirmí? Vuoi quest’anello? – E gli tirò un anello. Era un anello fatato. – To’, – disse il Fiorentino, – questo lo porto a Firenze e lo faccio vedere a chi non mi crede! – Ma appena l’ebbe raccolto e se lo fu infilato al dito, ecco che il dito gli diventa di marmo, pesante da trascinare per terra la mano, il braccio e tutto lui dietro, lungo disteso. Ora il Fiorentino non poteva piú muoversi perché non ce la faceva a sollevare il dito. Cercò di sfilarsi l’anello dal dito ma non ci riusciva. Il Gigante gli era quasi addosso. Disperato il Fiorentino trasse di tasca il coltello e si tagliò il dito: cosí poté scappare e il Gigante non lo trovò piú.
Arrivò a Firenze con un palmo di lingua fuor dalla bocca, e gli era passata la voglia non solo di girare il mondo ma anche di raccontare dei suoi viaggi. E il dito disse che se l’era tagliato a falciare l’erba.