Dostoevskij, “I fratelli Karamazov”, Il grande Inquisitore, cap. V
Continua la rassegna letteraria che ci accompagna in questo tempo maggiormente propizio alla lettura ed alla riflessione, anche dietro richiesta di un numero consistente di parrocchiani lettori del nostro sito.
Il romanzo “I fratelli Karamazov” venne scritto da Dostoevskij in 2 anni, dal 1779 al 1880. Quando si accinse al lavoro, lo scrittore era ancora sconvolto per la morte del figlio, il piccolo Aljosa. In breve, il racconto del Grande Inquisitore, contenuto nel capitolo V.
«Da noi a Mosca, nell’epoca anteriore a Pietro il Grande, rappresentazioni drammatiche dello stesso genere, ispirate soprattutto all’Antico Testamento, si davano pure di quando in quando: e contemporaneamente giravano per le mani di tutti una quantità di racconti e di “versi”, in cui agivano, all’occorrenza, santi, angeli, e tutte le potenze del cielo. Nei nostri monasteri ci si occupava parimenti di tradurre, di trascrivere e anche di comporre siffatti poemi, e questo perfino sotto la dominazione dei tartari. C’è per esempio il poemetto d’un monaco (dal greco, indubbiamente): Viaggio della Madonna fra le pene, con certe scene e un ardimento, da non restare indietro a Dante.
«La Madonna visita l’inferno, e a condurla “fra le pene” è l’arcangelo Michele. Essa vede i peccatori e i loro tormenti. Figura, tra l’altro, un’interessantissima schiera di peccatori in un lago ardente: coloro, fra questi, che s’immergono nel lago in modo da non poterne più sommar fuori, costoro, ormai, Iddio se li scorda: espressione di profondità e forza straordinarie. Ed ecco, commossa e piangente, la Madonna cadere in ginocchio dinanzi al trono di Dio, e chieder pietà per quanti stanno all’inferno, per tutti quelli che Essa ha veduti là, senza distinzioni.
«Il Suo colloquio con Dio è d’enorme interesse. Essa supplica, non recede, e quando Dio Le accenna ai chiodi che trafiggono le mani e i piedi del Figliuol Suo, e Le domanda: “Come potrei perdonare a quelli che lo hanno torturato?” Essa ordina a tutti i santi, a tutti i martiri, a tutti gli angeli di prostrarsi insieme con Lei e di pregare affinché si abbia pietà di tutti senza discriminazioni. Alla fine, Essa impetra da Dio che le pene rimangano sospese, ogni anno, dal venerdì santo al giorno della Santissima Trinità, e allora subito i peccatori, dall’inferno, ringraziano il Signore e osannano a Lui: “Giusto sei Tu, o Signore, che cosi decretasti”. Ebbene, ecco, anche il mio poemetto sarebbe stato sul genere di questi, se fosse uscito in quell’epoca. Vi appare in scena Lui; benché poi Lui non dica parola in tutto il poema, e non faccia che apparire e passar oltre.
«Son già passati quindici secoli dal momento che Lui diede promessa di venir nel Suo regno; quindici secoli da quando il Suo profeta scrisse: “Modicum et videbtis me“; “De die autem illo vel hora nemo scit, neque filius, nisi Pater” (1) come annunciò Lui stesso mentre era su questa terra. Ma l’umanità lo aspetta con fede sempre uguale e con sempre uguale tenerezza. Oh, anzi con fede ancora più grande, giacché quindici secoli son già trascorsi dal tempo che fu sospeso all’uomo ogni pegno celeste