Una riflessione di Giovanni Pascoli
C’è una voce nella mia vita
La bellissima poesia La voce è dedicata al richiamo che il poeta sente dentro di sé, che all’occorrenza gli viene in soccorso e già un tempo lo ha fatto desistere dal progetto di suicidarsi dal ponte sul fiume Reno, vicino a Bologna. «Zvani» è il diminutivo in romagnolo di “Giovannino”. Quand’era piccolo, questa voce coccolava il poeta, lo cullava e lo pregava di «vivere e d’essere buono!»
E’ una poesia di ricordi e passioni nelle quali fremono ansia , rivolta e vendetta, tutte pacate da quella voce che udiva sussurrata da un’anima invisibile e capace di compiere il miracolo.
Il ritmo affannoso dei versi ritrae l’ansia incombente su tutta la lirica, che al concludersi di ogni periodo metrico di tre strofe fa risuonare il diminutivo dialettale del nome del figlio, rimormorato dallo spirito della madre: Zvanì .
C’è una voce che mi risuona nell’anima nei momenti di maggiore sconforto. E’ la voce di mia madre dalla sua tomba, che mi trattiene dal compiere atti insani richiamandomi al dovere col sussurrarmi il nome che essa mi dava da bimbo : Zvanì. E’ sempre la stessa voce che mi distolse dall’uccidermi quando volevo gettarmi nel fiume Reno e quando, condannato per ragioni politiche, volevo morire sopraffatto dall’ingiustizia degli uomini. E così tante altre volte quella voce mi parlò e mi salvò .Vivi -diceva- vivi Zvanì . Grazie alle sue parole si compiva in me la purificazione . E tante altre cose avresti voluto dirmi, mamma, ma la terra soffoca la cara bocca.. La tua bocca con i tuoi baci leggeva la preghiera di vivere e di essere buono. Ma come resistere alla preghiera di quell’ombra che parlava rivolgendosi al figlio nella sua puerizia lontana : Zvanì ?
C’è una voce nella mia vita,
che avverto nel punto che muore;
voce stanca, voce smarrita,
col tremito del batticuore:
voce d’una accorsa anelante,
che al povero petto s’afferra
per dir tante cose e poi tante,
ma piena ha la bocca di terra:
tante tante cose che vuole
ch’io sappia, ricordi, sì… sì…
ma di tante tante parole
non sento che un soffio… Zvanî…
Quando avevo tanto bisogno
di pane e di compassione,
che mangiavo solo nel sogno,
svegliandomi al primo boccone;
una notte, su la spalletta
del Reno, coperta di neve,
dritto e solo (passava in fretta
l’acqua brontolando, Si beve?);
dritto e solo, con un gran pianto
d’avere a finire così,
mi sentii d’un tratto daccanto
quel soffio di voce… Zvanî…
Oh! la terra, com’è cattiva!
la terra, che amari bocconi!
Ma voleva dirmi, io capiva:
– No… no… Di’ le devozioni!
Le dicevi con me pian piano,
con sempre la voce più bassa:
la tua mano nella mia mano:
ridille! vedrai che ti passa.
Non far piangere piangere piangere
(ancora!) chi tanto soffrì!
il tuo pane, prega il tuo angelo
che te lo porti… Zvanî… –
Una notte dalle lunghe ore
(nel carcere!), che all’improvviso
dissi – Avresti molto dolore,
tu, se non t’avessero ucciso,
ora, o babbo! – che il mio pensiero,
dal carcere, con un lamento,
vide il babbo nel cimitero,
le pie sorelline in convento:
e che agli uomini, la mia vita,
volevo lasciargliela lì…
risentii la voce smarrita
che disse in un soffio… Zvanî…
Oh! la terra come è cattiva!
non lascia discorrere, poi!
Ma voleva dirmi, io capiva:
– Piuttosto di’ un requie per noi!
Non possiamo nel camposanto
più prendere sonno un minuto,
ché sentiamo struggersi in pianto
le bimbe che l’hanno saputo!
Oh! la vita mia che ti diedi
per loro, lasciarla vuoi qui?
qui, mio figlio? dove non vedi
chi uccise tuo padre… Zvanî?… –
Quante volte sei rivenuta
nei cupi abbandoni del cuore,
voce stanca, voce perduta,
col tremito del batticuore:
voce d’una accorsa anelante
che ai poveri labbri si tocca
per dir tante cose e poi tante;
ma piena di terra ha la bocca:
la tua bocca! con i tuoi baci,
già tanto accorati a quei dì!
a quei dì beati e fugaci
che aveva i tuoi baci… Zvanî!…
che m’addormentavano gravi
campane col placido canto,
e sul capo biondo che amavi,
sentivo un tepore di pianto!
che ti lessi negli occhi, ch’erano
pieni di pianto, che sono
pieni di terra, la preghiera
di vivere e d’essere buono!
Ed allora, quasi un comando,
no, quasi un compianto, t’uscì
la parola che a quando a quando
mi dici anche adesso… Zvanî…