La vocazione, un diamante senza pacchetto regalo

Qui di seguito, l’intervista a don Davide del CDV per “Avvenire”, in occasione della 55ma giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che si celebra domenica 22 aprile.

Qual è la cosa più importante che un giovane dovrebbe sapere sulla vocazione?

Partirei da lontano, ma è necessario. La cosa più importante è che Dio ci ama. Quindi la vocazione, prima ancora che trovare un posto nella vita, significa corrispondere a questo amore. Si decide di seguire Dio perché, semplicemente, Lui se lo merita. E’ primariamente una questione di amore da ricambiare. Poi, in seconda battuta, si dà il caso che, seguire il Signore faccia bene anche a noi. E qui diventa anche una questione di realizzazione, che, però, è una diretta conseguenza e non dovrebbe, a mio avviso, costituire il motivo principale.

La vocazione è la dimostrazione più concreta del fatto che, nel fare qualcosa per qualcun altro, si trova il meglio anche per noi stessi. Vuol dire essere disposti a perdere la propria vita per ritrovarla.

 

Perchè un giovane dovrebbe rispondere di sì alla Chiamata? Non c’è in giro, qualche proposta più “gratificante”?

Gesù, nel Vangelo, ci dice che chi lascia tutto per Lui troverà già in questa terra cento volte tanto in parenti, case e campi. Questo, senza attendere troppo, lo si può già constatare in seminario, o in convento, o nella comunità di formazione. Poi, a maggior ragione, è tanto più vero nell’ambito pastorale, quando inizia la missione vera e propria.

A livello spirituale, non manca mai la consapevolezza di dedicarsi alla causa più bella, alta e nobile che esista: lavorare nella vigna del Signore. Questo basterebbe già da solo a fornire le giuste motivazioni.

 

Nella vita del consacrato, a livello di ragioni umane, possiamo dire, prendendo a prestito un’espressione tipica del mondo del lavoro, che anche nella Chiesa ci sia una sorta di “crescita professionale”?

Certamente sì, per questi motivi. La figura del consacrato, oggi, richiede, per dialogare efficacemente con la gente del nostro tempo, una solida base spirituale, che si alimenta con la preghiera; un adeguato bagaglio culturale, da tenere sempre aggiornato; spiccate doti relazionali, anch’esse da affinare sempre; doti di fermezza, per saper guidare una comunità in tempi facili e meno facili; doti diplomatiche, per saper mediare quando è necessario calandosi nelle esigenze di tutti; capacità organizzative per mandare avanti enti, come le parrocchie e le case religiose, che non possono essere lasciate all’improvvisazione. In definitiva, La persona del consacrato è sempre esposta ad opportunità di crescita, basta saperle cogliere.

 

Spesso, quando un giovane pensa al suo futuro, oltre che di punti fermi, va in cerca anche di “sfide” con cui potersi misurare e grazie alle quali poter crescere. Anche se non è propriamente corretto paragonare la vita consacrata ed il mondo professionale, possiamo dire che, anche lavorando per il Signore, ci possano essere obiettivi sfidanti?

Risponderei affermativamente: se qualche giovane cerca “sfide”, certamente si può dire che operare in oratori, parrocchie e comunità è certamente un’impresa impegnativa, che mette a frutto (e, a volte, anche sotto pressione) tutti i talenti di una persona; che certamente non si tratta di un contesto “comodo”, oggi più che mai, ma certamente dinamico e interessante; che il “nemico” principale da combattere si chiama indifferenza religiosa, accompagnata da una certa svalutazione, bisogna dirlo, della figura del consacrato, visto a volte come erogatore di servizi e, occasionalmente, ufficio reclami; che l’autorevolezza non è riconosciuta a prescindere, ma va conquistata sul campo un centimetro alla volta. La ricompensa, per tutto ciò, va ricercata direttamente nel Signore, ma c’è comunque da dire che il valore intrinseco della chiamata rimane più grande di qualunque ostacolo.

La vocazione rimane il più bel dono che Dio può farci. Potremmo paragonarlo a un diamante (qualcosa di inestimabile) senza però la confezione – regalo (aspetti appariscenti che possono farlo sembrare appetibile dall’esterno), e a volte può capitare di vederlo impolverato o non valorizzato per quello che meriterebbe. Ma, con o senza confezione, un diamante rimane tale.

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